In occasione dell’infausto Fertility Day ci tengo a raccontarvi una cosa semplice.
Sono abbastanza giovane, vorrei dei figli ma ho paura di farli.
Sono una privilegiata. A 31 anni ho: un lavoro dipendente, a tempo indeterminato, stipendio fisso, 13 mensilità, ferie e mutua pagati, maternità garantita (finché dura, perché si sa che comunque c’è la crisi, ma questo è un altro discorso); un marito che amo e di cui mi fido, che quando capiterà, sarà un ottimo padre e che anche lui ha un posto fisso; una casa in affitto, piccola per 3 ma all’inizio si può fare, in un paese di provincia dove vivere è facile e bello; una famiglia solida e disponibile, sotto ogni punto di vista (umano, affettivo, economico).
Sono un caso raro, per la mia generazione: a essere così ben messi siamo pochissimi.
Ciò nonostante ho paura di fare figli.
Non per questioni pratiche, che pure sono tante anche per chi è fortunata come me (il nido, il part-time, il welfare, ecc…), figuriamoci per le altre.
Ho paura perché quando avevo 20 anni credevo che la parità tra uomo e donna fosse totale: mi sentivo esattamente alla pari dei miei compagni maschi, talvolta persino migliore.
Avevo successo e prospettive tanto quanto loro.
Poi ho iniziato a lavorare e mi sono accorta che i capi sono sempre uomini, che l’esito di un intervento durante una riunione è sempre ben diverso a seconda che a parlare sia un uomo o una donna, che le prospettive di successo e carriera non esattamente uguali.
Ho scoperto sulla mia pelle che essere single a 28 anni per un uomo non è strano, per una donna genera quell’immancabile sguardo che dice “Questa deve avere qualcosa che non va“. Che parlare a voce alta, prendersi una sbronza, mangiare antipasto primo secondo contorno e dolce, essere sfrontati, sono atteggiamenti perfettamente legittimi per un maschio, un po’ meno per una femmina.
Ma è ancora facile, siamo ancora pari, posso ancora competere.
Quando avrò dei figli la rottura dell’illusione sarà completa, la presunta parità dei sessi sparirà del tutto.
A me sarà chiesto di girare giorno e notte con l’unica e ingombrante identità di madre a definirmi. A mio marito no.
Cominceranno i sensi di colpa per tutto, i giudizi impietosi della gente attorno. Per mio marito no.
Se uscirò con le amiche la sera sarò una madre degenere, se starò troppo a casa con i figli, una fallita. Mio marito invece no.
Essere una buona forchetta, bere un bicchiere di vino in più, fumare una sigaretta, mandare a cagare qualcuno senza tanti fronzoli e mediazioni: tutte queste cose diventeranno peccati mortali agli occhi di molti. Mio marito potrà continuare a fare ciascuna di queste cose senza riprovazione sociale.
Lavorare diventerà difficile, fare carriera impossibile. Per mio marito no.
A mio marito questo non succederà, appunto, perché ai maschi questo prezzo non lo facciamo pagare.
E così, oltre a tutto il resto, sarà anche più difficile per noi essere una coppia, visto che finora tutto il nostro rapporto gira intorno a una stabile, serena, condivisa parità. Che se ne andrà con i figli, perché agli occhi del mondo io diventerò una mamma prima che una persona, lui resterà una persona prima che un papà.
Lo so che capita, lo vedo succedere attorno a me, alle mie coetanee che i figli li hanno già fatti. Lo leggo nei tanti articoli che leggo in merito (e per esempio vi consiglio questo).
Li farò lo stesso, dei figli, pur sapendo che mi trasformeranno, per certi versi, in una persona e in una cittadina di serie B: meno diritti su tutta la linea per le madri.
Oggi la ministra della Sanità ci chiede di fare più figli, ci ammorba persino con una giornata a questo dedicata. E io mi chiedo perché nessuno dia una risposta a questi timori, a me che sono la candidata ideale per cominciare a ripopolare l’Italia.
Sarà che questo non è un paese per madri.